Insegnamenti
Quello che, attraverso il nostro lavoro, cerchiamo di fare è istituire un ordine, o un’esperienza diversa rispetto a quella che nel tempo abbiamo consolidato nel nostro corpo. È come se il corpo fosse un contenitore, un bicchiere, un cilindro, un vaso che è stato riempito da tutte le esperienze che abbiamo incontrato. Questo vaso ha strutturato nel tempo dei legami con il nostro corpo, e il corpo dei legami con il vaso. Quindi, ogni volta che agiamo, ci comportiamo, pensiamo, elaboriamo, lo facciamo a partire dal vaso. Normalmente quando accogliamo qualche cosa, la accogliamo nel vaso: andiamo a immettere un’informazione all’interno di una struttura, che però ha già delle sue connessioni. Che cosa succede? È come se ci relazionassimo con un universo chiuso che, nei confronti delle esperienze, mette in atto dei filtri. Pertanto, le cose entrano (o ci toccano o ci connotano) ma filtrate dal nostro background.
Se non si attua un intervento incisivo, sovvertire questo ordine — nel senso di azzerarlo — è pressoché impossibile, sarebbe come togliere una connessione lasciando il resto dell’apparato (della struttura) uguale: la struttura cercherà di ricreare la connessione, e quindi di ridarsi un apparato teorico in grado di superare deficit che si era creato.
Questa struttura è un apparato che per lo più non ha il compito di insegnarci a stare nelle cose con degli strumenti adeguati, ma è un apparato che noi strutturiamo in difesa rispetto alle cose. Esso si immette tra noi e le esperienze, non è a nostro favore per fare le esperienze.
A questo punto dobbiamo porci una domanda: quando un processo può avere inizio? Solo quando abbiamo svuotato il vaso, o quando, pur non avendo svuotato il vaso, istituiamo una condizione in cui si fa “il gioco dello svuotare il vaso”, cioè per un tempo limitato, senza mettere il nostro essere in difesa per paura, svuotiamo momentaneamente il vaso e ci mettiamo nella condizione di lasciare che qualcosa accada. In sostanza, mettiamo in atto un’alternanza tra pieno e vuoto: il pieno dato dalla condizione in ci troviamo, e il vuoto ipotetico che cerchiamo di creare, e che ci dà un riferimento altro rispetto alla nostra esperienza quotidiana. Il passaggio costante tra la condizione che ci riguarda (e che ci appartiene e che ha le caratteristiche che conosciamo) e una condizione altra, ci fa mettere in atto degli intervalli nella nostra struttura piena. Si tratta di intervalli coscienziali, cioè spazi che rendiamo vuoti all’interno di una condizione che invece è satura. Satura di elementi che non sono strettamente collegati alla nostra natura permanente, ma che sono giustapposizioni.
Trovare sé significa, gradatamente, spostare dal nostro apparato tutto ciò che lo ha saturato, mantenendolo tuttavia in essere. Vale a dire: non è che non sarò più in grado di dipingere, continuo a essere in grado di dipingere! Non è che non sarò più in grado di fare i conti di matematica, continuo a essere in grado farli! Sono in grado di ripercorrere i processi che mi hanno permesso di fornirmi di quegli strumenti, ma tutto ciò che in qualche modo ho assimilato, o di cui mi sono fornito, cessa di essere strumento di controllo e diventa strumento di conoscenza.
Ciò accade grazie al fatto che io non sono più un universo chiuso che si deve strutturare e difendere nei confronti di quello che ha modificato la mia natura permanente. Se da una parte tutto ciò deve accadere, perché è un normale processo di crescita dell’individuo, dall’altra questo stesso accadere, poiché non segue l’armonia generale dell’universo e l’armonia generale dello Spirito, va a deformare. Ad ogni modo, gli strumenti che sono a disposizione, e quelli di cui l’uomo si è fornito, sono talmente permanenti nella materia che impediscono alla materia sottile di muoversi agilmente.
Lo spostamento tra il pieno e il vuoto, questo spostamento che nel tempo ci fa portare all’interno del nostro campo altre esperienze sensibili, mette in atto la possibilità di espandere questo nostro campo. Espansione di coscienza significa questo. In una struttura che ha già le proprie connessioni, attraverso gli intervalli spazio-tempo, che io metto in atto portando dentro esperienze che non sono mie, aggiungo alla mia coscienza, al mio campo di ingerenza spaziale, il campo di ingerenza spaziale delle esperienze che assimilo. In tal modo espando, e mi espando. Le connessioni che metto in atto nel tempo andranno a sommarsi, o a sostituirsi, alle connessioni che nel tempo ho costruito, dando luogo a un nuovo ordine, che non sarà più l’ordine costituitosi “in difesa di”, ma sarà l’ordine che io ho acquisito grazie all’ “esperienza che”. Questo è importante da capire. È importante perché da una parte ci permette di costruire, all’interno di quel corpo di verità di cui stiamo parlando, un senso; ci permette di mettere un nuovo ordine alle cose; altrimenti, come spesso viene spiegato nei processi analitico-psicologici , l’essere potrebbe perdersi in questo processo: se assolutizza una parte di esperienza che fa, senza trovare un nuovo ordine, manca il conduttore. Manca quella parte a cui continuamente facciamo riferimento quando diciamo “Io”. Ci vuole un conduttore, e il conduttore è il nuovo ordine che istituiamo.
Che cosa rende possibile il fatto che io possa passare da una condizione a un’altra, dal pieno della mia esperienza al vuoto? Il fatto che tra le tante informazioni, che attraverso la disciplina che mi do e chi ci insegna, posso sperimentare che la materia sottile oltre a essere intelligente è adattabile. Ma quando la materia sottile è adattabile? Quando il campo di azione del pensiero cui applichiamo la materia sottile è un campo di azione non rigido. È adattabile quando il pensiero che produciamo è un pensiero organico, autonomo, in grado di trasformarsi mentre ci trasformiamo con l’esperienza, questo la rende adattabile. Che cosa vuol dire è in grado di adattarsi insieme all’esperienza che facciamo? Significa che non avendo il confine rigido dato dalla struttura che noi diamo, e volgiamo dare, alle cose, prevede dentro di sé la possibilità di diventare altro, diverso, rispetto a ciò che noi abbiamo ordinato.
Anche se vi sembra di non condurre, la velocità del pensiero è estremamente alta. C’è sempre qualcuno e qualcosa che conducono, sempre. Anche la sensazione che avete mentre state per fare un’esperienza, che non è il vuoto, quella sensazione che avete è un pensiero rapido che passa attraverso il vostro campo. Quel pensiero rapido condurrà e determinerò la natura dell’esperienza che fate. Poi, naturalmente, essendo all’interno di un campo connotato da qualcuno che sta conducendo, quell’esperienza passa e una informazione più forte entra e agisce. È grazie a questo che possiamo collettivamente fare le esperienze, ed esperienze che facciano riferimento a un unico ordine di idee.